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Gli Appelli del Messaggio di Fatima

Per  una maggiore comprensione del messaggio che “Nostra Signora del Rosario” ci ha dato a Fatima, affidandolo ai tre Pastorelli Lucia, Francesco e Giacinta, ogni sabato, escluso il primo sabato del mese, leggiamo e riflettiamo su  alcuni stralci dell’opera “ Gli Appelli  del messaggio di Fatima”  scritto da Suor Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato ( nome assunto da religiosa da Lucia dos Santos, pastorella di Fatima).

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Appello alla vita di piena consacrazione a Dio

Diciottesimo appello del Messaggio (Parte 1° di 4)

L’apparizione di Nostra Signora del Carmelo ha, a mio avviso, il significato di una piena consacrazione a Dio: mostrandosi vestita con un abito religioso ha voluto rappresentare tutti gli altri abiti con i quali le persone interamente consacrate a Dio si distinguono dai semplici cristiani secolari.

Gli abiti sono il distintivo di una consacrazione, una salvaguardia del decoro e della modestia cristiana, una difesa della persona consacrata. Sono per le persone consacrate lo stesso che la divisa per i soldati, i galloni per i graduati: li distinguono e mostrano cosa sono e il posto che occupano, obbligandoli anche ad un comportamento degno della loro condizione. Perciò lasciare l’abito religioso è retrocedere; è confondersi con coloro che non sono stati chiamati né scelti per qualcosa di più; è spogliarsi di un emblema che li distingue e innalza; è scendere ad un livello inferiore per poter vivere come coloro che non sono all’altezza.

Le persone che un giorno hanno udito la voce di Dio e hanno deciso di seguire la sua chiamata per una vita di piena consacrazione, si sono innalzate ad un livello superiore che le distingue dai fratelli comuni. E questa distinzione deve apparire all’interno, agli occhi di Dio, e riflettersi all’esterno, alla vista del prossimo. È una testimonianza che dobbiamo dare della presenza di Cristo in noi, secondo lo stato che abbracciamo e il posto che occupiamo.

Gesù Cristo sapeva di essere criticato perché mangiava e parlava con i pubblicani e i peccatori, ma non per questo si nascose; sopportò e subì i rimproveri per compiere la missione che il Padre gli aveva affidato e mostrare chi era. Abbiamo il suo esempio, vediamo le sue parole: « Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui » (Mc 8,34-38). E in un altro passo, ci dice: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo (…). Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli » (Mt5,13-16).

Per questo siamo stati chiamati e scelti da Cristo: per seguirlo, rinunciando a noi stessi e a tutte le cose della terra; per dare testimonianza a Cristo, confessandolo fino ai confini del mondo, proclamando e insegnando la sua dottrina con la parola e l’esempio; per essere luce di fronte agli uomini, in modo che vedano in noi l’immagine di Cristo.

Pensiamo a queste parole di Gesù: « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga » (Gv 15,16). Siamo stati scelti per dare frutto e per far sì che il nostro frutto rimanga: è la perseveranza nella fedeltà al dono che abbiamo ricevuto da Dio e alla nostra promessa di accettazione di questo dono.

Nel vangelo, a tutti ma soprattutto alle anime scelte, Gesù dice: « Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! » (Mt 7,13-14). Sono pochi – dice il Signore – coloro che proseguono sulla via stretta che conduce alla vita e molti sono quelli che vanno sulla via larga che conduce alla perdizione. Se vogliamo andare su vie larghe, vie di una libertà esagerata che accantonano la giusta sottomissione all’autorità nella pratica della virtù dell’obbedienza, stiamo sbagliando, perché Gesù Cristo ci ha chiamati a seguirlo e lui è stato obbediente fino alla morte, e morte sulla croce, come dice l’apostolo San Paolo (Fil 2,8).

Il divino Maestro disse a coloro che aveva scelto di andare in suo nome a evangelizzare i popoli: « Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato » (Lc 10,16). Ciò che il Signore ci dice richiede la virtù della fede. Tutti, ma soprattutto le persone consacrate, devono vivere della fede: quella fede che vede Dio nel prossimo, nell’autorità e negli avvenimenti; quella fede che ci garantisce che l’autorità rappresenta Dio e che, obbedendo, facciamo la volontà di Dio. L’esempio più eccellente di tale obbedienza ce l’ha dato Gesù stesso quando ha detto: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite »(Gv 8,29). Ogni persona consacrata ha accettato e promesso anche, ad imitazione del Salvatore, di fare sempre ciò che è gradito al Padre Celeste, ossia la volontà di Dio manifestata da coloro che lo rappresentano.

La rinuncia alla propria volontà per fare sempre la volontà di Dio è il nostro olocausto con il quale ci uniamo alla Passione di Cristo a beneficio del suo corpo mistico, irrobustendoci come membri di questo corpo. Entriamo a farne parte con il sacramento del Battesimo, ma, per rimanervi, dobbiamo essere membri vivi che danno e fanno crescere la vita, memori della parola di Gesù: « Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2). La rinuncia alla propria volontà per seguire quella di Dio ci fa diventare rami del suo ceppo, membri del suo corpo, e suoi familiari: «Colui che fa la volontà di Dio, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre » (Mc 3,35). È mediante l’unione della nostra volontà con la sua che siamo la famiglia di Dio.

La fede deve guidare i nostri passi per questa via di rinuncia a noi stessi e guidarci nell’accettazione delle altre richieste che Gesù Cristo, nella scelta che si è degnato di fare di noi, ci presenta per seguirlo: « Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. (…) Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Il sale è buono, ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per intendere, intenda » (Lc 14,26-35).

Quello che qui Gesù Cristo ci dice non significa che Dio vuole che odiamo e disprezziamo i nostri familiari; non può essere questo il significato, perché in altri posti ci ordina di amarli. Quello che egli pretende dalle persone consacrate è che gli sacrifichino le consolazioni della loro convivenza abituale, che rinuncino ai beni della terra, che rinuncino ad avere moglie o marito, secondo la propria condizione, e figli, perché coloro che li hanno non possono odiarli né abbandonarli. E… se non sono così – dice il Signore. -, non possono essere miei discepoli! Ora, se non possono essere suoi discepoli, come possono essere suoi sacerdoti e maestri del suo popolo? Oppure, persone interamente consacrate al suo amore e al suo servizio?

Un giorno San Pietro chiese al Signore qual era la ricompensa di coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo, ed egli rispose: « Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna » (Mt 19,29). Gesù promette la vita eterna a colui che per amor suo rinuncia a tutto, anche ad avere moglie e figli. Nelle sue parole è ben chiara l’esigenza delle virtù della povertà e della castità e, in concreto, dello stato del celibato.

Uno dei discepoli che il Signore aveva chiamato chiese una proroga per andare prima a seppellire suo padre, ma Gesù gli rispose: « Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio» (Lc 9,60) . Un altro discepolo chiese appena il tempo di salutare i suoi, ma il Signore lo sconsigliò: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62) . Ad uno scriba che andò incontro a Gesù pronto a seguirlo dicendo: « Maestro, ti seguirò ovunque andrai », rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo » (Mt8,20).

Questi passi evangelici ci mostrano cosa esige Dio dalle persone interamente consacrate a lui: è necessario lasciare tutto, rinunciare a tutto ciò che è materiale e terreno, rinunciare ad avere moglie o marito, secondo il caso, e figli per seguire Cristo, consegnandosi di tutto cuore a lui e alla salvezza delle anime.

L’esigenza del celibato e della verginità non vuol dire che il matrimonio in sé sia una cosa cattiva, anzi si tratta di un’istituzione creata da Dio e che Gesù Cristo ha innalzato a livello di sacramento; allo stesso modo non intende dire che sia cosa meno gradita a Dio l’avere moglie o marito e figli, visto che questi sono il frutto del sacramento e una benedizione di Dio. Significa solo che, per le persone chiamate e scelte ad una vita di piena consacrazione al servizio di Dio, il Signore ha altre esigenze e altri favori, poiché altro è il fine al quale sono destinate. ……