Per una maggiore comprensione del messaggio che “Nostra Signora del Rosario” ci ha dato a Fatima, affidandolo ai tre Pastorelli Lucia, Francesco e Giacinta, ogni sabato, escluso il primo sabato del mese, leggiamo e riflettiamo su alcuni stralci dell’opera “ Gli Appelli del messaggio di Fatima” scritto da Suor Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato ( nome assunto da religiosa da Lucia dos Santos, pastorella di Fatima).
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Settimo appello del Messaggio: « Offrite costantemente all’Altissimo orazioni e sacrifici (parte 1 di 2)
Questo appello al sacrificio, che Dio qui ci rivolge, lo troviamo anche in molte pagine della Sacra Bibbia.
Forse può sembrare persino inutile ricordarlo nuovamente, ma non sarà invano, perché spesso ci dimentichiamo o siamo negligenti verso questo grande dovere.
Nell’Antico Testamento, i sacerdoti avevano l’abitudine di offrire a Dio, per loro stessi e per il popolo, sacrifici di animali che immolavano come vittime propiziatorie. Ma queste vittime erano soltanto immagini del sacrificio di Cristo, che doveva essere la vera vittima offerta al Padre per i peccati dell’umanità. Il sacrificio di Cristo, che è venuto a mettere fine alle immagini, doveva perpetuarsi in sostituzione dei sacrifici dell’Antica Alleanza. E oggi lo rinnoviamo quotidianamente sull’altare della celebrazione Eucaristica, ripetizione incruenta del sacrificio della croce.
Ma non basta, perché, come dice San Paolo (Col 1,24), dobbiamo completare in noi ciò che manca alla Passione di Cristo, perché siamo membra del suo corpo mistico. Ora, quando un membro del corpo soffre, tutte le altre membra soffrono con lui, e quando un membro si sacrifica, tutte le altre membra partecipano a questo sacrificio; se un membro è malato e il male è grave, anche se il male è localizzato solo in esso, tutto il corpo soffre e muore. La stessa cosa avviene nella vita spirituale: tutti siamo malati, tutti abbiamo molte carenze e peccati; perciò, tutti abbiamo il dovere, in unione con la vittima innocente che è Cristo, di sacrificarci in riparazione dei nostri peccati e di quelli dei nostri fratelli, perché tutti siamo membra dello stesso unico corpo mistico del Signore.
Il Messaggio ci chiede di offrire a Dio, di tutto ciò che possiamo, un sacrificio: «Di tutto ciò che potete, offrite un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con i quali egli viene offeso e di supplica per la conversione dei peccatori» (Parole dell’Angelo). Possono essere sacrifici di beni spirituali, intellettuali, morali, fisici e materiali. Secondo i momenti, avremo occasione di offrire ora gli uni ora agli altri. Ciò che conta è essere disposti a cogliere le occasioni che si presentano; soprattutto dobbiamo essere capaci di sacrificarci quando questo è richiesto dall’adempimento del nostro dovere verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi. E ancor di più, se questo sacrificio è necessario per non trasgredire a nessuno dei comandamenti della legge di Dio; allora il sacrificio che ci dobbiamo imporre è obbligatorio, perché siamo obbligati a sacrificarci quanto necessario per non peccare. È un’esigenza dalla quale dipende la nostra salvezza eterna. Così ci dice Gesù nel Vangelo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?» (Lc 9,23-25)
Da ciò che qui ci dice il Signore si vede che dobbiamo essere disposti a dare la vita piuttosto che commettere un solo peccato grave, con il quale possiamo perdere la vita eterna. Ora lo stesso vale, e a maggior ragione, se il rispetto della legge di Dio ci richiede sacrifici inferiori a quello della propria vita.
La rinuncia a tutto quanto ci può portare al peccato è la via verso la salvezza. Perciò il Signore ci dice: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà», cioè, chi vorrà soddisfare i propri appetiti disordinati, seguire una vita peccaminosa, camminare sulla via larga del peccato, senza pentirsi né correggersi, perde la vita eterna. E come non interrogarci con Gesù Cristo: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?».
Nello stesso senso, egli ci avvisa: «Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,38). Si! Come può essere amico di Dio e degno della vita eterna colui che non si sacrifica quanto necessario per camminare sulla via dei suoi precetti, rinunciando ai piaceri illeciti, ai capricci dell’orgoglio, della vanità, dell’avarizia, delle comodità esagerate, mancando di carità e di giustizia verso il prossimo, scuotendo il giogo della croce di ogni giorno o trascinandola di malavoglia, senza conformarsi e unirsi alla croce di Cristo?
Alcune volte sarà la croce del nostro lavoro quotidiano: «Mangerai il pane con il sudore della tua fronte» – aveva imposto Dio ad Adamo come penitenza per il suo peccato; altre volte, saranno le contrarietà della vita che sorgono ad ogni passo e che è necessario affrontare con serenità, pazienza e rassegnazione; altre volte ancora saranno le umiliazioni, che compaiono inaspettatamente e che dobbiamo accettare, riconoscendo ciò che in noi esiste di imperfetto, a indurci ad un proposito di correzione, fiduciosi in Dio che aiuta sempre le anime di buona volontà a risollevarsi per una vita migliore e di maggior perfezione. «Di tutto – ci dice il Messaggio – offrite a Dio un sacrificio in atto di riparazione per i peccati con i quali viene offeso e di supplica per la conversione dei peccatori».
Questo è un altro motivo che Dio ci presenta e per il quale ci dobbiamo sacrificare: Riparare i peccati con il quale egli viene offeso, i propri peccati e quelli del prossimo. Ogni volta che offendiamo una persona dobbiamo, per quanto possibile, riparare il dispiacere e il danno causati e per queste cose chiediamo perdono, chiediamo scusa, ecc. Ora, con maggior ragione dobbiamo fare altrettanto con Dio. Perciò Gesù Cristo, nella preghiera domenicale, ci hai insegnato a chiedere il perdono: «Padre nostro che sei nei cieli, (…) rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», e subito dopo, diciamo: «E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male» (Mt 6,9.12-13). La miglior riparazione che possiamo offrire a Dio è unire alla supplica del perdono il proposito della correzione per non offenderlo più. Per questo chiediamo perdono, aiuto e difesa.
Notate che Gesù ci ha insegnato a chiederlo al plurale, cioè per noi e per i nostri fratelli: perdonaci, liberaci, non indurci in tentazione! Questo è l’appello del Messaggio: Sacrificarci in atto di riparazione e di supplica per la conversione dei nostri fratelli traviati su strade vie false e sbagliate. Sì, pregare e sacrificarsi, perché tutta la nostra vita deve essere un’immolazione offerta a Dio abbracciando la croce di ogni giorno, in unione con la Croce di Cristo, per la salvezza delle anime, cooperando con lui nell’opera redentrice come membra del suo Corpo Mistico, la Chiesa, che lavora, prega e soffre intimamente unita alla sua testa per riscatto dell’umanità.
Lungo il cammino della nostra vita quotidiana troviamo molti e differenti tipi di sacrifici che possiamo e dobbiamo offrire a Dio. Il sacrificio della gola, che in molti casi è obbligatorio. Astenersi dalle bevande alcoliche in eccesso che confondono il giudizio, abbruttiscono la ragione e degradano la dignità, e avviliscono la persona di fronte a Dio e agli uomini onesti. Quante famiglie infelici a causa di questo peccato di gola! Perché non si offre a Dio il sacrificio di non bere dividendo con i poveri ciò che con tanto danno si spenderebbe in eccessi e peccati, mentre tanti nostri fratelli non hanno il necessario per vivere?!
Questo sacrificio, imposto dalla moderazione con la quale dobbiamo servirci alla tavola della creazione, è stato chiesto da Dio fin dal principio ai primi due esseri umani. Dice la Sacra Bibbia: «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare (…). Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”» (Gn 2,8-17). Per nutrirsi, Adamo ed Eva avevano tanti frutti di alberi così vari che il frutto della scienza del bene del male non serviva, anzi era gravemente dannoso, motivo per cui Dio si premunì proibendo loro di mangiarne. La cosa migliore era di sottomettersi all’ordine di Dio e offrirgli il sacrificio di non toccare il suo frutto.
In questo, come in tanti altri casi della vita, dobbiamo mettere in atto la virtù della temperanza che richiede la mortificazione del desiderio della gola. Dio, da buon padre che è, ha messo al mondo una tale varietà di cose buone e deliziose con le quali i suoi figli possono e devono nutrirsi e delle quali possono persino godere, ma sempre in obbedienza della legge di Dio e senza dimenticare la pratica del sacrificio della moderazione che dobbiamo offrire a Dio per ringraziarlo di tanti benefici e a favore dei nostri fratelli bisognosi.
Non dico che Dio chieda a tutti, come fa con molti dei suoi prescelti, di spogliarsi di tutto in favore dei poveri e poi seguirlo in assoluto distacco dai beni della terra; ma piuttosto che dobbiamo vivere distaccati dall’eccessivo affetto a questi beni. Ricordiamo qui il dialogo di Gesù Cristo con un giovane che lo cerca in questa domanda: «”Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”. Egli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti“. Ed egli chiese: “Quali?”. Gesù rispose: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora Il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso”. Il giovane gli disse: “Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?”. Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Udito questo, il giovane se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze. Gesù allora disse ai suoi discepoli: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli” »(Mt 19,16-24). ………